Ancora mi risuona quello slancio di palingenesi che la pandemia agli albori aveva generato. Quella speranza, molto molto umana, che la sofferenza ci avrebbe resi migliori. Sappiamo tutti com’è finita.
Ed è finita come doveva. Perché la sofferenza in sè non produce cambiamento. A produrlo è l’intenzione, la volontà, di trasformare il dolore, la crisi, in qualcosa di utile e palingenetico. In sostanza, il cambiamento è un atto di volontà.
Ma non mi rassegno. Credo si sia sempre in tempo per trasformare la crisi, una crisi che è ancora in atto e i cui sviluppi restano al momento imprevedibili, in un’occasione di rinascita.
E mi chiedo: facendo il lavoro che faccio posso agire su questo cambiamento? Nelle azioni che quotidianamente compio per mettere in piedi un evento, quante di queste potrebbero essere modificate al fine di ottenere un impatto sul mondo nel quale vivo che vada nella direzione di farne un posto più equo, più libero, più solidale, più pulito, più rispettoso, più autenticamente umano?
So che esiste il marketing etico. Ma il fatto stesso che esista significa che allora esiste un marketing che etico non è, e dunque intercetta un bisogno. Non solo. Quello che ho in mente non sono azioni “politically correct”, non è un agire cautelativo e limitante. Io penso ad azioni “positive”, passi assertivi e costruttivi. Visioni d’insieme.
Conosco le obiezioni.
La prima, il cliente e i suoi obiettivi. Risposta: gli obiettivi di qualunque cliente sono integrabili in una visione di questo tipo, che è, a mio avviso, una visione in ultima analisi economicamente vantaggiosa, e tutta l’economia green lo dimostra.
La seconda, ciò che è “giusto” è opinabile, e non una legge fissa e immutabile. Vero. Ma. Innanzitutto, e purtroppo, il pianeta vive sacche di “ingiustizia e disparità” difficilmente equivocabili, quantomeno sul piano dei principi globalmente condivisi. Inoltre, tutto questo avverrebbe all’interno della realtà che muta, non su di un piano astratto e intaccabile.
La terza, è una sfida enorme, una fatica di Sisifo. Certo, se Sisifo viene lasciato solo a tirar su il masso.
Ma se, invece, cominciassimo a spostarlo tutti assieme?
Se diventassimo il vento che soffia sulle “onde dello stesso mare”?
Lorenza De Micco
Senior Account